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Un grappolo di stelle: le Pleiadi
Ottobre 25, 2018 on 8:28 pm | In Personali, Astronomia | No CommentsUN GRAPPOLO D’UVA STELLARE
La prima volta che si rivolge al cielo notturno uno sguardo poco più che distratto, in certe stagioni si può notare una specie di nuvoletta che a uno sguardo più attento si rivela come un gruppetto di stelline. Quattro, le più luminose, formano un quadrilatero, mentre le altre tre sono disposte lungo una linea curva: nell’insieme fanno ricordare la forma di un piccolissimo carro. La loro visione e il riconoscimento di quella che in passato è stata anche considerata una costellazione a sé stante, Le Pleiadi, provoca spesso un sentimento di stupore.
Le Pleiadi sono un ammasso di parecchie migliaia di stelle; ad occhio nudo se ne distinguono facilmente sei, e anche sette se il cielo è limpido. In particolari condizioni si arriva a vederne fino a 9. Accurate osservazioni hanno rivelato che ci sono almeno 500 stelle facenti parte dell’ammasso aperto.
In effetti sono oggetto di osservazione e considerazione da tempi antichissimi. Nelle grotte di Lascaux, in Spagna, un dipinto risalente ad epoca preistorica pare riportare oltre a raffigurazioni di animali tra cui il toro, anche un gruppo di punti disposti in modo da essere interpretati da alcuni studiosi di astronomia antica come questo oggetto del cielo notturno: la costellazione del Toro con nei pressi Le Pleiadi.
Oltralpe questo gruppetto di stelle viene addirittura denominato “La Grappe de raisin” (Il grappolo d’uva); in effetti le stelline fitte fitte richiamano gli acini.
Popolarmente sono conosciute da sempre come le Sette Sorelle oppure, specialmente nel mondo contadino, vengono associate alle Gallinelle; o anche la Chioccia e i Pulcini
…sette case nel tacito borgo, sette Pleiadi un poco più su.
Case nere: bianche gallinelle!
da L’imbrunire - G. Pascoli
La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolio di stelle.
da Il gelsomino notturno - G. Pascoli
Alfred Tennyson ha pensato invece alle lucciole:
Molte notti ho visto le Pleiadi, sorgenti attraverso un’ombra soffusa,
scintillare come uno sciame di lucciole incastonato in un’argentea ghirlanda.
E davvero, viste attraverso un telescopio, le Pleiadi appaiono avvolte in una leggerissima nebbia, perché sono immese in una nebulosa.
I latini le chiamavano Vergiliae, da ver, primavera, le stelle della primavera.
Il loro nome deriva forse da Peleiades, “colombi selvatici”, oppure da pleos, abbondante, numeroso, con riferimento al numero elevato di stelle che le compongono; o anche dalla parola greca, pleo, navigare: infatti costituivano un segno importante per la navigazione e la prudenza suggeriva ai naviganti di andar per mare soltanto nel periodo in cui le Pleiadi brillavano nel cielo, cioè dalla primavera all’autunno.
Ma se della navigazione pericolosa il desiderio ti prende,
sappi che quando le Pleiadi, d’Orione la forza terribile fuggendo,
si gettano nel mare nebbioso,
allora infuriano i soffi di ogni specie di venti.
Esiodo
Esiodo (VIII-VII secolo a.C.) le canta anche come indicatrici al contadino del calendario dei lavori agricoli:
Al sorgere delle Pleiadi, figlie di Atlante, inizia la mietitura, ara quando esse tramontano: per quaranta notti e quaranta giorni se ne stanno nascoste e, mentre l’anno compie il suo corso, appaiono in principio quando è il momento dì affilare la falce. Questa è la legge dei campi.
( Da Le Opere e i Giorni)
Occorre a questo proposito ricordare che oggi questo ammasso è visibile in un periodo diverso dai tempi antichi a cui abbiamo accennato. Oggi esse cominciano ad apparire nei cieli del mattino in agosto, sono visibili in prima serata in inverno e a maggio tramontano: questo accade per un fenomeno astronomico che si chiama precessione degli equinozi, (un lento movimento del Polo Nord celeste tra le stelle).
Il mito le ha poi rivestite di leggende particolarmente suggestive.
Sono sette sorelle, figlie di Atlante e di Pleione. Secondo un’altra versione sono figlie di una regina delle Amazzoni.
I loro nomi erano: Alcione, Celeno, Elettra, (con Zeus ebbe Dardano e Iasione), Maia, (con Zeus ebbe Ermes), Merope Sterope o Asterope, Taigete, (con Zeus ebbe Lacedemone).
Esiodo riporta: “l’amabile Taigète, Elettra dagli occhi turchini, Astèrope, Alcione con Maia, e la diva Celèno, e Mèrope: di tutte fu padre il fulgido Atlante“.
Atlante, re della Mauritania, grande gigante, litigò con Perseo, il quale, grazie alle proprietà magiche della testa di Medusa, lo trasformò in un monte (la catena dell’Atlante nel Marocco); poi Giove lo perdonò dello sgarbo fatto a suo figlio Perseo e gli ridiede le sue fattezze; tuttavia per punizione gli diede da sorreggere sulle spalle il mondo.
Tutte le ragazze erano bellissime ed ebbero rapporti amorosi con dei dell’Olimpo. Da Marte Astèrope ebbe Enomao, re di Pisa; Maia ebbe da Giove Mercurio; anche Elettra ebbe con Giove un figlio, Dardano, fondatore di Troia, e con Taigete nacque Lacedemone, fondatore di Sparta.
Il poeta romano Ovidio, racconta poi che una delle Pleiadi, Merope, per la vergogna di aver sposato Sisifo, un uomo mortale, non è sempre visibile, oppure a impallidire ogni tanto sarebbe Elettra, che si ritira secondo la leggenda verso il Polo Artico, e si copre gli occhi per non veder la fine della città fondata dal figlio, Troia, e di tutti i suoi discendenti. Elettra, dal Circolo Polare Artico tornerebbe ogni molti anni con i capelli sciolti per la disperazione e rappresenta una cometa che periodicamente torna nei nostri cieli.
Anticamente, presso molti popoli l’anno cominciava con la loro levata al mattino e l’inverno con la loro levata la sera.
Le Pleiadi rivestivano delle importanti funzioni di regolazione delle usanze e dei costumi sia civili che religiosi. La culminazione a mezzanotte di questo gruppo di stelle segnava presso diverse culture primitive il periodo del culto dei defunti, che si celebra ancora oggi con il nostro Ognissanti, nel celtico All Hallow Eve (diventato poi Halloween
Gli antichi egiziani davano al mese di novembre il nome di Athar-aye, il mese delle Pleiadi, e lo stesso troviamo presso i caldei e gli israeliti.
Gli abitanti della Polinesia ad una metà dell’anno danno, nella loro lingua, il nome corrispondente a “le Pleiadi Sopra”, e all’altra metà a “le Pleiadi Sotto”.
Persino i Maia, gli Aztechi e i nativi del nordamerica usavano simili ripartizioni.
Per i Boscimani le Pleiadi sono “Le stelle dell’aratura”:
Gli Inuit (che noi chiamiamo Eschimesi) le chiamano “l’osso del petto” e in Lapponia vengono considerate come una vecchia che si accompagna a un branco di cani.
In Australia scopriamo una certa corrispondenza con i nostri miti: le Pleiadi sono ragazze che cercano si sfuggire a un cacciatore che le insegue (Orione).
Euripide le cita come “orologio notturno”. Ci sono testimonianze dirette anche nelle nostre campagne di questo fatto. Un oggetto così inconfondibile e caratteristico, messo in relazione a particolarità del terreno, a colline, a profili di montagne può facilmente costituire un riferimento nelle ore notturne tanto da poter sostituire l’orologio.
Il mito sopravvive anche ai giorni nostri, ma meno poeticamente. Possiamo viaggiare sulle Pleiadi, su un’automobile che si chiama Subaru, il nome giapponese di questo bellissimo ammasso stellare.
Chiamatela stella - Una stella una bambina (o un bambino)
Ottobre 24, 2018 on 11:49 pm | In Personali, Astronomia | No CommentsAlcune stelle hanno un nome adatto a una bambina…magari con qualche piccolo aggiustamento…
Ho scelto i nomi che hanno un suono che mi sembra accettabile come nome proprio.
Se qualcuno leggendo questi nomi decidesse di usarne uno per una piccola o piccolo “figlia/o delle stelle”
sarei molto felice di saperlo…scrivetemi.
Avvertenza: i nomi arabi conterrebbero dei segni grafici diversi da quelli presenti nella nostra lingua.
Ho ritenuto inutile riportarli per lo scopo che perseguo: trovare qualche nome nuovo ispirato alle stelle.
*L’anno luce è un’unità di misura che esprime la distanza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di un anno.
Da Wikipedia
Cara (Chara)
di derivazione greca, significa “gioia”.
Inventato da Johannes Hevelius, è il nome dato alla più meridinale delle stelle dei Cani da caccia. L’altra stella si chiama Asterion.
Adìl (Adhil)
da al Dahil, “lo strascico del vestito”, nella costellazione di Andromeda.
Dista da noi 196 anni luce*
Amàl (Ahmal) ”l’agnello”.
Nella costellazione dell’Ariete. Dista da noi 66 anni luce
Arturo
(dal greco) rappresenta Arcade, il figlio di Callisto, una ninfa del corteggio di Artemide.
Zeus la vide, prese le sembianze della dea e la sedusse. La dea della caccia si arrabbiò moltissimo, poichè le sue ninfe dovevano rimanere vergini, e la trasformò in orsa. Il bambino che nacque, Arcade, andando a caccia nei boschi incontrò l’orsa sua madre, che tentò di avvicinarglisi. Egli, spaventato, stava per scoccare una freccia, ma Zeus, impietosito, li portò entrambi in cielo.
L’orsa divenne l’Orsa Maggiore che tutti conosciamo; Arcade divenne ” il guardiano dell’Orsa”, la stella della costellazione di Bootes (guardiano, pastore).
Arturo è la stella più brillante del cielo estivo: contende il primato a Vega della Lira.
Nel 1933, in occasione dell’Esposizione “Il secolo del Progresso”, a Chicago, la sua luce fu usata per accendere l’illuminazione il giorno dell’inaugurazione. La ragione della scelta sta nel fatto che la stella è distante circa 40 anni luce dalla Terra, e la luce che brillava quel giorno era partita dalla stella 40 anni prima, giusto la data dell’esposizione precedente.
Sirio
Significa “ardente, splendente”. E’ la stella più luminosa del cielo. Iside per gli Egizi, alla sua levata eliaca (appena prima del sorgere del Sole), segnava il periodo dell’inondazione del Nilo. Chiamata anche Cane, da cui canicola, il periodo di intenso calore estivo, era considerata portatrice di malattie e pestilenze, che si verificavano per le alte temperature estive e per la mancanza di strumenti per la conservazione dei cibi.
Dista da noi 8,6 anni luce. E’ una stella appartenente all’emisfero australe, visibile nei nostri cieli per l’inclinazione dell’asse terrestre. Scintilla cambiando colore a causa del fatto che è bassa sull’orizzonte e la sua luce viene distorta dall’atmosfera.
Nell’altro emisfero, (io non ho mai potuto verificare, ma se qualcuno può farlo è pregato di riferire), la bella stella non scintilla allo stesso modo.
Adàra (Adhara)
da al-adhara, “le vergini”.Nella costellazione del Cane Maggiore. Dista da noi 431 anni luce.
Nàscira (Naschira)
Nella costellazio del Capricorno. Non si conosce il significato. Dista da noi 38,6 anni luce
Adàr (Hadar)
dall’arabo hadari, sconosciuto il significato. Nota anche come Agéna (ginocchio), nella costellazione del Centauro. E’ distante 530 anni luce.
Mira
Significa “la meravigliosa”. Nella costellazione della Balena. E’ una stella variabile, periodicamente (circa una volta l’anno e per circa 135 giorni), si rende visibile a occhio nudo e poi impallidisce. Dista da noi 419 anni luce.
Mimosa
Una della stelle della Croce del Sud. Il nome adottato di recente, nel XX secolo, potrebbe ispirarsi al fiore dallo stesso nome. Dista da noi 353 anni luce.
Gena (Gienah)
nella costellazione del Corvo, dall’arabo janah-al-ghurab, “l’ala del corvo”.
Dista dalla Terra 165 anni luce
Altàis
da al-tinnin significa forse “il serpente”. Nella costellazione del Dragone, dista da noi 100 anni luce.
Áza (Azha)
deriva dal nome attribuito dagli arabi a una costellazione il cui nome significava “il nido degli struzzi”. Oggi si trova nella costellazione di Eridano.
Aléna (Alhena)
è nella costellazione dei Gemelli. Il nome significa, dall’arabo al-han’a, “il marchio sul collo del cammello”. Dista 59 anni luce dalla Terra.
Niàl (Nihal)
Il nome deriva dall’arabo al-nihal, e significa “i cammelli che iniziano a dissetarsi”. Si trova nella costellazione della Lepre. Dista da noi 1280 anni luce.
Vega
La stella piu’ luminosa della costellazione della Lira. E’ di un soffio meno luminosa di Arturo. Il nome deriva dall’arabo al-nasr-al waki, “l’aquila che attacca”. Dista dalla Terra 25,3 anni luce. E’ la prima stella ad essere stata fotografata.
Alnilàm
la stella di mezzo dei Tre re, le tre stelle della cintura di Orione, la costellazione piu’ bella del nosro cielo. Il suo nome deriva da un’antica costellazione a cui apparteneva: al-nizam “il filo di perle”. Dista da noi 1340 anni luce.
Meissa
deriva dal nome al-maisan, che potrebbe significare “la splendente”. E’ nella costellazione di Orione. Dista da noi 1060 anni luce.
Sam (Sham)
“la freccia”, dall’arabo al-sahm. Nella costellazione della Sagitta (freccia). Dista 473 anni luce.
Antares
il suo nome deriva dal greco, e significa “simile a Marte”, per il suo colore rossastro. Si trova nella costellazione dello Scorpione. Dista 500 anni luce.
Sàula (Shaula)
Deriva dal nome arabo di una antica costellazione: al-shaula, “il pungiglione dello Scorpione”.
Dista 700 anni luce.
Áldebaràn
Nella costellazione del Toro ne rappresenta l’occhio. Significa probabilmente “la seguente”, con riferimento al fatto che segue Le Pleiadi. Sembra immersa nell’ammasso aperto delle Iadi, ma è lontana da loro. Dista 65 anni luce, mentre le Iadi distano oltre 150 anni luce.
Ália (Alya)
Nella costellazione del Serpente. deriva dall’arabo alya, la coda di una particolare pecora della zona. Dista oltre 130 anni luce (in effetti sono probabilmente due stelle compagne a due distanze diverse).
Le Pleiadi (solo alcune): Sono nella costellazione del Toro.
Celèno: (dal greco): madre di Lico che diede il nome alla Licia, regione della Turchia
Elèttra: madre di Dardano fondatore di Troia
Maia: madre di Ermes, (il padre era Zeus), era la più bella delle sorelle.
Mèrope
Le Iadi (solo alcune): erano ninfe dei boschi
Ambròsia: la bevanda degli dei immortali, significa “immortale”, o “fragrante”
Eudòra
Diòne: nella mitologia greca si chiamava Diòne la madre di Afrodite
Átria
unione di A (alfa) con le iniziali di Triangolo australe, costellazione dell’emisfero sud: a-tria. Dista 415 anni luce
Tania
Nome di due stelle della costellazione dell’Orsa Maggiore. Dall’arabo al-qafza al thaniya, “il secondo salto”.
La costellazione a cui si riferisce il salto è un’ antica costellazione preislamica: “i salti delle gazzelle”; le stelle sarebbero le orme lasciate dagli animali inseguiti dal Leone. Distano 134 e 249 anni luce.
Tàlita (Tàlitha)
Dall’arabo al-qafza al thalitha: “il terzo salto” (delle gazzelle). Dista 47,7 anni luce.
Alùla
Sempre nell’Orsa maggiore, “il primo salto” (delle gazzelle). Dista 421 anni luce.
Zània (Zaniah)
Significa “l’angolo” di una antica casa lunare preislamica dal significato sconosciuto. É nella costellazione della Vergine, e dista 250 anni luce da noi.
Sìrma (Syrma)
Di derivazione greca, significa “strascico (del vestito)”; è sempre nella costellazione della Vergine. Dista da noi 70 anni luce.
Gran parte delle notizie sono riprese dal libro di
Gabriele Vanin - I nomi delle stelle - Storia, mito, dati scientifici e osservativi
Editore Sirio Srl
Capitano, mio capitano…
Ottobre 22, 2018 on 9:13 pm | In Personali, Racconti | No Comments“Il suo nome era… Baratta Gino…ma lo chiamavan drago…gli allievi…al bar del Pitentino…dicevan ch’era un mago… era un mago…”
Il pullman, pieno di ragazzi e ragazze che parafrasavano la nota canzone, era simile a mille altri che nelle primavere di oltre cinquant’anni fa, correvano sulle strade delle gite scolastiche.
La meta non era di vitale importanza, il mondo era così grande… noi ragazzi non avevamo mai visto molto, oltre i paesi in cui vivevamo, e tutto era nuovo ed eccitante.
Noi non lo sapevamo, ma avevamo qualcosa in più degli altri: avevamo un insegnante speciale, diverso dagli onesti professori che pure facevano il loro mestiere con dignità; ci era toccato in sorte un “maestro”.
Eravamo ragazzi di campagna, al più figli di commercianti, artigiani, qualcuno era di famiglia ricca, ma non ce ne rendevamo conto.
Io ero orfana di padre e di famiglia povera, dove non c’erano occasioni per stimolare la curiosità e il desiderio di conoscenza; egli ci portò da casa sua una valigia piena di libri che distribuì ad ognuno secondo l’idea che si era fatta di noi e della nostra capacità di comprensione.
Il primo libro che mi diede da leggere fu… La morte nell’anima di Jean Paul Sartre, credo di non averci capito niente.
Altri ne lessi in seguito e non li ricordo tutti, ma negli anni della maturità li ho ricomprati in buona parte, perchè devono aver segnato profondamente la mia giovinezza.
Les fleur du mal, Une saison à l’enfer, Gente di Dublino, Au rébours, e le poesie di Pavese e altri che sarebbe troppo lungo elencare ora sono sugli scaffali e se li guardo comprendo quello che allora mi era sembrato scivolasse su di me senza lasciare il segno.
E quante mattine passate a scrivere, sui quaderni che ancora conservo, appunti dettati con pazienza per integrare i libri di testo che allora come ora non contenevano quello che un vero maestro considerava importante per la nostra cultura.
Conservo poesie di Bellintani, allora sconosciuto:” E allora Cristo salì al Calvario, piangendo, piangendo senza un grido…” e di un poeta ungherese che lui stesso aveva tradotto imparando la lingua per l’occasione, Endre Ady: ”Noi arriviamo sempre troppo tardi, veniamo sempre da troppo lontano…” , e le registrazioni delle prediche di Don Mazzolari, in una piccola parrocchia del mantovano, e le prime basi della psicanalisi, che ci facevano capire quanto c’era sotto la superficie delle nostre coscienze (l’io, l’id, l’inconscio).
A lui devo il ricordo vivissimo dello storico “Galileo” di Bertoldt Brecht al Piccolo Teatro di Milano e La cantatrice calva di Jonesco, recitata da una compagnia mantovana.
Se stessi qui a scavare nella memoria, pian piano affiorerebbe tutto quello che egli ci ha fatto vedere spingendoci ad aprire gli occhi e guardare.
Il ricordo che ho di lui come persona è molto vago: era uno di noi, come i nostri padri.
Credo che fosse un insegnante mandato in periferia per questioni politiche, doveva essere un maestro scomodo.
Tutti i maestri che si elevano al di sopra della normalità sono scomodi: vedendo il film “L’attimo fuggente” ve ne potrete rendere conto. Il ragazzo che sale sul banco e dice a voce alta: “Capitano, mio capitano…” mi fa pensare a lui e risveglia più di ogni altra scena il suo ricordo.
Molti anni dopo scoprii che era morto ancora giovane e che ora a lui è intitolata la Biblioteca di Mantova. http://www.bibliotecabaratta.it/index.php/it/
Alcune poesie
Filippo De Pisis - Autunno
Cadon le foglie gialle del fico
e dal mio cuore partono
vaghi sogni.
L’oro di queste sere
indugia sulle cornici dorate
sulle belle tinte dei quadri.
A mano a mano che
muore l’estate
un’alta pace
queste terre invade
e la mia sete di ieri?
Un’ombra fine è attorno,
ma più lontano
l’infinita sete struggente,
e il richiamo ai noti ardori.
Cadon le foglie gialle dal fico…
E nel mio cuore si fa sera.
Il tempo
Son passati dei giorni,
dei mesi, degli anni.
Tu credi che abbia ormai dimenticato
che il mio cuore sia chiuso
al profumo delle nostre sere.
Ma non è vero!
Basta, vedi, che si levi
dal fondo della strada
una canzoncina mesta,
basta, appena, che tremi una foglia
che passi un’ombra
e riconosco il tuo riso
un po’ amaro
e sento il cuore che trema.
_____
Ho faticosamente recuperato la poesia di Endre Ady, ma a parte i due primi versi, ho cercato di tradurre dall’inglese. Non ho trovato la stessa poesia in lingua magiara
Noi arriviamo sempre troppo tardi
veniamo sempre da troppo lontano
I nostri passi sono sempre stanchi e tristi
noi arriviamo sempre troppo tardi.
Non sappiamo nemmeno come morire in pace.
Se ci appare da lontano la morte
le nostre anime si tuffano in un tam tam di fiamma.
Non sappiamo nemmeno come morire in pace.
Noi arriviamo sempre troppo tardi
Siamo sempre a un soffio dal realizzare un successo
o i nostri sogni, il nostro paradiso o il nostro abbraccio.
Noi arriviamo sempre troppo tardi
Quel che resta di un padre
Ottobre 18, 2018 on 8:44 pm | In Personali, Racconti | No CommentsNon ricordo mio padre come persona viva. La sua immagine mi deriva dalle fotografie che tengo in un cassetto: un gruppo familiare in cui sono anch’io, in posa davanti al fotografo, una delle prime foto a colori in cui lui, in canottiera e col cappello che ombreggia il viso, guarda nell’obiettivo di un turista tedesco di passaggio a casa nostra, e una fotocopia di un gruppo di suonatori della Banda di Gonzaga, in cui suonava uno strumento a fiato.
Avevo 12 anni quando una malattia che allora era incurabile se lo porto’ via in un paio di mesi. Allora e per molti anni ancora non ho pensato che la sua mancanza avesse influito tanto sulla mia vita, ma ora so che crescere senza padre lascia nella vita un vuoto che produce guasti senza rimedio.
La sua presenza è legata al mio più antico ricordo; una piccola cioccolata che esce da una tasca: è avvolta in carta gialla e sopra c’è un trenino marrone, con tante ruote. Il calore del corpo l’ha resa un po’ molle e deformata; io la vedo davanti a me e so che me l’ha portata papà ma non lo vedo come persona.
Adesso che ci penso i suoi ricordi sono legati ai piccoli doni che allora un padre contadino poteva fare: dei pezzi di legno di varie forme ricavati dalla legna da ardere che mi servivano per costruire delle casette, delle pecorelle fatte con il tutolo delle pannocchie, nelle caldissime estati in cui si sfogliava il granoturco.
Poi i giorni della malattia, i viaggi in treno fino ad un ospedale lontano a trovare un uomo che non si era mai allontanato dalla sua casa, sperduto nei corridoi di questo luogo tanto triste e anonimo.
E poi l’ultimo ricordo: vedo in una mattina di fine inverno, nell’aria nebbiosa del mattino, una figura grigia seduta su un albero tagliato, con la testa tra le mani. Era tornato per passare gli ultimi giorni nella sua casa.
Ed ora il ricordo più importante, il più vivo e significativo, che sempre ho avuto chiaro nella memoria, come la scena di un film. Qui mio padre è vivo, lo vedo camminare sulla strada che dalla mia casa porta su fino alla strada principale, una strada che da tempo immemorabile porta su al Nord. La strada è alta, perché oltre ci sono i terreni che fanno parte da sempre della golena del Po, e poi c’è il fiume.
Mia madre sulla riva della strada si dispera verso di lui che fermamente prosegue a piedi; c’è con lui una persona sconosciuta, un soldato tedesco in fuga verso il suo paese.
La guerra sta per finire e anche questo padre forse vuol tornare dai suoi figli, dopo la follia che ha travolto il mondo intero, ma i ponti sono distrutti, bisogna trovare un battello che lo aiuti a passare il grande fiume.
Questo è un ricordo che mi ha gratificato molto nella mia giovinezza.
Ero già avanti negli anni quando un giorno mi sono resa conto che questo ricordo è falso, un fantasma della mente: io sono nata due anni dopo la fine della guerra.
Il racconto che mia madre deve avermi fatto tante volte ha sbagliato collocazione: invece di entrare nella zona delle informazioni è entrato felicemente nella zona dei ricordi.
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